Dopo la prima in occasione della Giornata della Memoria, il laboratorio teatrale C.I.E.L.O. ha replicato il proprio spettacolo Tra giusti ed eroi venerdì 23 agosto 2019 presso l’Arci bocciofila a Piccione.
Gli attori sono ragazzi e ragazze tra i 14 e i 22 anni che coltivano con l’aiuto e la regia dei loro responsabili l’estro e la creatività, ma anche la dedizione e la costanza, elementi indispensabili per ogni incisiva performance artistica e per realizzare e mettere in scena un’opera teatrale.
Il laboratorio è nato nell’alveo dell’Oratorio San Giovanni Paolo II dedicato al papa polacco che oltre ad essere stato pontefice, teologo e filosofo cristiano fu studente di filologia e letteratura all’università, poeta e drammaturgo, esponente di spicco della scuola rapsodica e del teatro della parola.
Questa introduzione non è secondaria perché la trama e la cornice storica dello spettacolo si intrecciano abbondantemente con le vicende storiche e personali di Karol Wojtyla che ha visto la sua amata Polonia sotto l’oppressione del nazi-fascismo e del socialismo reale e ha assistito agli orrori della Shoah e del secondo conflitto mondiale. In giovinezza ebbe stretti rapporti con la locale comunità ebraica di Wadowice e in seguito visitò il campo di concentramento di Auschwitz, si fermò in preghiera presso il Muro del pianto e fu il primo papa dopo San Pietro a entrare in una sinagoga.
Ma chi sono questi giusti ed eroi richiamati fin dal titolo dello spettacolo?
“È scritto nel Talmud – ricorda il rabbino emerito di Roma Elio Toaff – ‘ogni generazione conosce l’avvicendarsi di 36 uomini giusti, dalla cui condotta dipendono i destini dell’uomo. Sono questi i giusti delle nazioni, che portano in sé più degli altri la shekhinah, la presenza di Dio.’ Sono i giusti che ci indicano la via del bene, avendo dedicato la loro vita al servizio del prossimo e alla gloria dell’Eterno”.
Un campione tra i Giusti
Tra i protagonisti dello spettacolo c’è Gino Bartali, icona del ciclismo italiano assieme al rivale Fausto Coppi. Vinse tre Giri d’Italia e due Tour de France tra gli anni Trenta e Cinquanta, ma la sua carriera incontrò la salita più dura e impervia durante la Seconda Guerra Mondiale.
Infatti per cinque anni le gare furono sospese e il campione toscano fu costretto a lavorare come riparatore di ruote di biciclette. Tra il ’42 e il ’43 fece da spola tra Terontola e Assisi nascondendo nel telaio della sua bicicletta fototessere e documenti falsi che servivano per proteggere degli ebrei. Bartali ha contribuito a salvarne circa 800 collaborando col rabbino Nathan Cassuto e con l’arcivescovo Elia Angelo Dalla Costa.
Il silenzio, inizialmente richiesto dalla delicatezza dell’operazione, è stato mantenuto fino alla morte perché “il bene si fa, ma non si dice. E certe medaglie si appendono all’anima, non alla giacca“, tanto che le onoreficenze civili e religiose gli sono state riconosciute soltanto postume. È giusto tra le nazioni e la moglie Adriana ha ricevuto per lui dal presidente della Repubblica la medaglia d’oro al merito civile.
Il morbo di K e una radio un po’ inquietante
A lato della scena un ingombrante apparecchio d’altri tempi faceva sobbalzare noi spettatori per gli improvvisi e sinistri rumori dei segnali captati. Era una radio partigiana installata clandestinamente nello scantinato dell’ospedale Fatebenefratelli di Roma. Il primario era un certo dottor Giovanni Borromeo, insigne e premiato medico reduce della Grande Guerra, che aveva trasformato l’antico nosocomio romano in una struttura moderna ed efficiente.
Dopo l’8 settembre, durante l’occupazione nazista, l’ospedale godeva dell’extraterritorialità e divenne un rifugio per le categorie sociali vulnerabili come partigiani fuggiaschi, ebrei, militari e fascisti disertori che venivano accolti e curati dal dottore e dalla sua equipe, i suoi fidati collaboratori Vittorio Sacerdoti e Adriano Ossicini.
Si appoggiava al Fatebenefratelli per la sua attività di resistenza anche l’amico Roberto Lordi, generale dell’aviazione, che grazie alla radio segreta riusciva a comunicare con i suoi contatti.
La vicenda assume toni quasi surreali e comici nella scena in cui i soldati che avevano fatto irruzione nell’ospedale per un controllo sono raggiunti da urla e gemiti convulsi provenienti da uno dei reparti e ne domandano le ragioni. Diagnosi: morbo di K. Sono tutti malati gravi e molto contagiosi, a detta dei medici, e di fronte a sintomi così devastanti nessuno se lo fa ripetere e, dopo aver sfogliato le cartelle mediche dei pazienti, battono in ritirata.
In realtà non esiste nessun morbo di K., che faceva riferimento alle iniziali degli ufficiali nazisti Kesselring e Kappler, e quelle manifestazioni quasi isteriche facevano parte del piano per fugare gli ispettori che di certo non avrebbero mai giocato la vita per un contagio del genere.
In una visita in carcere il dottore incontra Lordi che si era consegnato per scagionare il proprietario del polverificio accusato di collaborare coi partigiani. Riceve precise istruzioni per mandare avanti le operazioni e poi si congeda con un lungo abbraccio dall’amico che non vedrà più. Infatti, dopo un mese di atroci torture, cadde fucilato alle Fosse Ardeatine.
I ragazzi di Villa Emma
I giovani interpreti hanno anche avuto il privilegio di esibirsi nei luoghi della prossima storia. Infatti hanno proseguito il loro tour facendo tappa a Nonantola, in provincia di Modena.
Dal 1942 la cittadina ha accolto una novantina di ebrei, prima dell’est Europa e poi croati, segnalati dalla DELASEM, organizzazione ebraica di assistenza ai rifugiati e fatti stabilire a Villa Emma, imponente edificio in campagna da tempo abbandonato.
Gli italiani, dopo una iniziale diffidenza, fanno amicizia con i nuovi ospiti della villa e per un anno la loro vita trascorre relativamente tranquilla in un clima di solidarietà e contando sul sostegno del medico Giuseppe Moreali e dei sacerdoti don Arrigo Beccari e don Ennio Tardini, giusti fra le nazioni.
Lo scambio delle tradizioni, anche culinarie, crea momenti di profonda comunione tra ospitati e ospitanti e nello spettacolo non mancano scene di grande tenerezza per gli amori che nascono dalla frequentazione tra ragazzi e ragazze dei due gruppi.
Durante l’occupazione degli ex-alleati i ragazzi vanno nascosti e messi al sicuro al più presto. Così, in meno di 36 ore i due curati e il medico li affidano a piccoli gruppi alle famiglie che possono farsene carico come loro figli o li nascondono nei locali del seminario. Quasi tutti si salvarono e raggiunsero Israele passando per la Svizzera .
Un eroe incompreso
È più facile portare avanti i propri ideali quando sono ampiamente condivisi, sostenuti e compresi.
Ma quando i principi, per quanto buoni e lodevoli, non sono allineati con la sensibilità comune, allora l’eroe diventa un segno di contraddizione profondo che mette a nudo la radice di male o rivela coscienze troppo embrionali e grossolane nella società. È il caso di Desmond Doss, soccorritore volontario dell’esercito americano. Uno dei pochi obiettori di coscienza ad essere decorato con la prestigiosissima Medal of Honor per il servizio svolto nell’area del Pacifico e sull’isola di Okinawa.
I giovani attori sono stati bravissimi a comunicare il disprezzo e i pesanti trattamenti a lui riservati dai commilitoni per il rifiuto morale di imbracciare le armi, fino a subire un processo davanti alla Corte Marziale o a vedersi negata la licenza per convolare a nozze con la sua futura moglie.
Un uomo disarmato sarebbe stato dalla prospettiva di un soldato dell’esercito di uno Stato come quello americano un peso, un impiccio, un uomo in meno.
La sua fede limpida e le premure mediche e umane che nonostante tutto non smetteva di riservare ai suoi compagni erano ai loro occhi quasi uno scandalo inconcepibile e lo ritenevano un debole e un inetto per quel mondo e per l’universo dei loro valori.
Il velo di incomprensione si squarciò quando una volta disobbedendo all’ordine della ritirata rischiò la vita tra il fuoco nemico e i corpi esanimi dei compagni in cerca di moribondi da soccorrere e portare al sicuro. Quel giorno, era un sabato, ne salvò 75.
Aveva dimostrato ai suoi compagni e all’intera nazione americana le falle di un bellicismo ammantato di retorica e accettato acriticamente come unica soluzione, che esaltava soltanto coloro che sapevano imbracciare un fucile, spesso non per difendere la pace e il bene comune, ma per avere la meglio sugli altri e mettere a tacere il senso di inferiorità e impotenza.
Il senso del teatro
Karol Wojtyla nel saggio Sul teatro della parola indica con le parole di Shakespeare il senso profondo del teatro che “è quello di servire come specchio o modello alla natura e alla vita, di riprodurre la verità del bene e del male nel mondo, di dar forma allo spirito del tempo e allo spirito del progresso, e di costituirne la bellezza”.
Il teatro ha un valore civile ed esistenziale. Non è solo intrattenimento o fiction, ma è l’opportunità di formarsi come uomini e donne. La parola, che è alla base del teatro, e la musica, risuonano nel silenzio dell’interiorità che diventa l’arena delle scelte decisive per la persona.
L’uomo è attore del proprio destino.
Edoardo Batocchi